lunedì 15 febbraio 2010

Il processo Mare Nostrum


29 novembre 2009.
La Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Messina, presieduta per l’occasione dal giudice Antontio Brigandì, dopo 5 giorni di camera di consiglio emette la sentenza di secondo grado del mastodontico processo Mare Nostrum, probabilmente il procedimento giudiziario di mafia più importante mai celebratosi nella provincia peloritana, conclusosi in prima istanza il 26 luglio del 2006 con una sentenza che comminava 28 ergastoli e 1650 anni di carcere complessivi per i 133 imputati.
Il procedimento si era aperto dopo un maxi blitz investigativo sferrato a metà degli anni ’90. Associazione di stampo mafioso, traffico di droga, omicidi, attentati, traffico di armi, estorsioni, ferimenti e molto, molto altro fra le accuse contestate agli indagati.
Prima di vedere com’è andata a finire facciamo però un passo indietro.

Innanzitutto giova ricordare che da questo processo era scaturito lo stralcio denominato Mare Nostrum Droga, un procedimento riguardante il traffico di stupefacenti nell’area di Barcellona Pozzo di Gotto e che vedeva il coinvolgimento di 20 imputati.
La prima fase della causa aveva assolto 6 degli accusati, condannando i restanti 14 indagati a pene comprese fra i 15 ed i 4 anni di detenzione.
Il procuratore generale Ernesto Morici in secondo grado aveva chiesto le conferme di tutte le condanne, anche per i 6 imputati assolti nella prima tornata del processo, fondatosi in gran parte sulle dichiarazioni rilasciate dal pentito Maurizio Bonaceto.
La sentenza della Corte d’Appello presieduta da Maria Pia Lazzara arrivava lo scorso 13 novembre, confermando le assoluzioni già emesse in primo grado e ribaltando tutte le sentenze di condanna. I 14 imputati riconosciuti come colpevoli nella prima fase dei lavori processuali secondo la Corte non hanno commesso il fatto.
Viene così smentita l’operazione anticriminalità più importante mai registratasi nella provincia di Messina, un blitz che si riteneva avesse colpito al cuore l’organizzazione malavitosa del Longano, smantellando il suo impianto operativo fatto di minacce ai commercianti, uccisioni, sostanze stupefacenti.
Come dire: il traffico di droga, la delinquenza, a Barcellona Pozzo di Gotto, non esistono (come la mafia d’altronde...).
La mole di informazioni e collegamenti sporchi riconducibili agli assolti è talmente immane che neanche a volerlo sarebbe possibile ricostruirla.

A non aver commesso il fatto vi è ad esempio Salvatore Ofria, arcinoto alle forze dell’ordine, plupregiudicato boss dei rifiuti della mafia tirrenica, oppure Ugo Manca, affiliato al clan barcellonese, condannato in primo grado a 9 anni e cugino di Attilio Manca, urologo 34enne trovato morto nella sua abitazione in circostanze sospette il 13 febbraio del 2004.
Secondo alcune ricostruzioni sarebbe stato proprio lui ad operare alla prostata in una clinica di Aubagne, Francia, il boss Bernardo Provenzano, nell’ottobre del 2003. Qualche mese dopo un cocktail letale di eroina e tranquillanti se lo sarebbe portato via. Nel suo appartamento ecco comparire le impronte del cugino, Ugo Manca, oggi tornato libero per non aver commesso il fatto.
Di Mario e Giulio Calderone, anche loro condannati in primo grado e poi assolti, e delle loro connessioni ai piani alti delle istituzioni barcellonesi (il giudice Cassata ed il sindaco di Barcellona Candeloro Nania fra gli altri)ho già scritto qualche mese fa; Massimo Beneduce, Umberto Beneduce, Salvatore Bianco, Salvatore Costa, Filippo Minolfi, Francesco Minolfi, Benedetto Mondello, Armando Gangemi, Andrea Cattafi, Domenico Longo, Valentino Rotella, Luigi Alberti, Antonino Barresi, Luigi Leto, Domenico Ofria e Rosario Rotella sono gli altri assolti, tutti cittadini modello, ovviamente, come potrete verificare svolgendo una rapida ricerca internet dei loro nomi e cognomi affiancati alla parola “Mafia”.

Torniamo però alla parte più importante del processo, al Mare Nostrum vero e proprio, un procedimento che è interessante ripercorrere almeno in alcune sue parti salienti, assolutamente inedite, credo, nella storia della giustizia italiana.
Il 9 marzo del 2009 l’avvocato Francesco Bertolone, difensore del boss Giuseppe Gullotti, legge in aula un documento anonimo che mette in dubbio l’attendibilità delle dichiarazioni del pentito Maurizio Bonaceto, il quale avrebbe in pratica mentito accusando Giuseppe Gullotti ed Antonino Merlino di aver ucciso il giornalista Beppe Alfano.

Nel documento vengono espressi giudizi molto pesanti in merito a Piero Campagna, (carabiniere e fratello di Graziella Campagna, uccisa dalla mafia nel 1985 a diciassette anni) e Fabio Repici, avvocato di parte civile nel Processo Mare Nostrum ed in numerosi processi di mafia della provincia messinese (fra cui anche quelli riguardanti gli omicidi Alfano e Campagna).

Secondo il documento i due sarebbero stati al corrente dell’innocenza di Gullotti e Merlino, ma non ne avrebbero mai informato l’Autorità Giudiziaria.
Sembra un legal thriller. Purtroppo non lo è, ed anzi, prima di andare avanti bisogna sottolineare alcuni punti importanti.

1)Serve innanzitutto ricordare che nelle more del procedimento ben nove perizie mediche avevano confermato l’impossibilità di richiamare a deporre il pentito Maurizio Bonaceto, lanciatosi dal balcone della sua casa nel 1997 e da allora gravemente debilitato. La Corte preferì dare ascolto al decimo ed unico parere contrario, che stabiliva l’effettiva capacità di rendere esame di Bonaceto.
Giunto davanti ai giudici, in condizioni generali evidentemente precarie, Bonaceto dichiarò di non voler rispondere, non confermando le sue precedenti deposizioni.
La Corte, dovendo prendere atto delle evidentissime pressioni subite da Bonaceto al fine di ritrattare le sue dichiarazioni (il fratello del collaboratore di giustizia ancora oggi lavora come ragioniere in un’impresa di demolizioni riconducibile al boss Salvatore Ofria...) decise di acquisire comunque i fascicoli.

2)Chi è l’avvocato Francesco Bertolone?
Il dottor Bertolone, legale dei più noti mafiosi peloritani, non aveva partecipato al primo grado di giudizio del Mare Nostrum in quanto raggiunto dagli addebiti mossigli dal collaboratore di giustizia Giuseppe Chiofalo (in passato suo cliente).
Chiofalo, pluriomicida e condannato a diversi ergastoli, aveva accusato Bertolone di essere un fondamentale confidente della mafia barcellonese in virtù del suo rapporto di profonda amicizia con il giudice Franco Cassata, oggi Procuratore Generale presso la Corte d’Appello del Tribunale di Messina.
In tal senso è interessante riportare, fra i vari attestanti il rapporto Cassata-Bertolone, un episodio rivelato dallo stesso Chiofalo nel 2004 e mai smentito dai protagonisti.
Nel 1974 Giuseppe Chiofalo, diretto a Milano a bordo di una Mercedes di sua proprietà, ospitò sulla sua auto il suo legale dell’epoca, Francesco Bertolone, ed un giovane giudice, poi rivelatosi essere l’attuale Procuratore Generale presso la Corte d’Appello del Tribunale di Messina, Antonio Franco Cassata.
Un’ulteriore nota di interesse sul personaggio Bertolone emerge poi rileggendo il documento anonimo prodotto nel corso del procedimento Mare Nostrum e di cui si è data conoscenza qualche paragrafo fa. Lo sconosciuto redattore, in un’osservazione omessa nella lettura in aula data dal Bertolone, si lascia infatti andare ad un commento in cui si spiega che “Franco Bertolone è il Franco Cassata degli avvocati”.
Sarà forse a causa di tale vaghissima relazione fra Cassata e Bertolone che quest’ultimo, dopo aver coscenziosamente disertato la prima fase del dibattimento per gli evidenti conflitti giuridici in seno al procedimento riguardanti la sua persona, rientrerà in aula per il processo d’appello da celebrarsi in quel Tribunale di Messina il cui fido amico Cassata è nel frattempo diventato Procutore Generale?
Giudicate voi....

3)Chi è l’autore del documento anonimo letto in aula da Francesco Bertolone e che squalifica le dichiarazioni del pentito Maurizio Bonaceto, tenta di scagionare il boss Gullotti dall’accusa per l’omicidio Alfano ed attacca l’avvocato Fabio Repici ed il carabiniere Piero Campagna, consegnando, inoltre, una visione assolutamente nuova ed inedita del delitto Alfano?

Il suo nome è Olindo Canali.

Sostituto procuratore della Repubblica a Barcellona Pozzo di Gotto dal 1992, attualmente in attesa di essere trasferito d’ufficio dal Consiglio Superiore della Magistratura per incompatibilità ambientale e funzionale, giudice istruttore dell’omicidio Alfano, pubblico ministero nel primo grado del processo Mare Nostrum, ruolo da cui fu rimosso nel 2005 a causa delle sue insistite frequentazioni con Salvatore Rugolo, affiliato alla cosca barcellonese, figlio del boss Francesco Rugolo (ritenuto il capo indiscusso della mafia tirrenica quando venne ucciso, nel 1987, nel corso della guerra tra le cosche barcellonesi e chiofaliane) nonchè fratello di Venera Rugolo, moglie del noto capo mafioso Giuseppe Gullotti, del quale Salvatore Rugolo sarebbe tuttora il referente principale per gli affari di criminalità.
Altro particolare interessante, emerso da un’informativa dei carabinieri redatta nel 2005, la famosa informativa Tsunami, è che fra le frequentazioni altolocate dei Rugolo vi sarebbe anche quella di Antonio Franco Cassata, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello del Tribunale di Messina.
Ancora, bisogna sottolineare che fu grazie al giudice Olindo Canali se Giuseppe Gullotti, accusato dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano, venne condannato a 30 anni invece che all’ergastolo; Canali “dimenticò” infatti di considerare, nel corso dell’istruttoria, “la premeditazione” dell’omicidio, che evidentemente, o almeno secondo l’interpretazione che ne diede il giudice Canali, non fu pianificato.
Si tratta di un particolare inquietante, soprattutto se affiancato al documento, prima anonimo, poi riconosciuto, prodotto dal magistrato lombardo nell’ambito del processo Mare Nostrum, un memoriale evidentemente mirato a scagionare dalle accuse proprio il boss Gullotti.

E’opportuno rammentare che dopo il riconoscimento della paternità del documento operato da Canali i legali di Gullotti chiameranno lo stesso Canali a testimoniare nel processo Mare Nostrum.
La Corte, infischiandosene dell’incompatibilità prevista dall’articolo 197 lettera d del codice di procedura penale, accetterà la deposizione di Canali, il quale a causa delle dichiarazioni rilasciate in aula è oggi sotto inchiesta da parte della procura di Reggio Calabria per falsa testimonianza e favoreggiamento del boss Giuseppe Gullotti.
Peccato che il suo intervento, minando la credibilità delle dichiarazioni del pentito Maurizio Bonaceto, sia comunque risultato determinante nell’ambito del procedimento.
Certo viene anche da chiedersi come mai, mentre Olindo Canali è in attesa di un trasferimento d’ufficio da parte del CSM e sotto inchiesta a Reggio Calabria con accuse gravissime il signor Antonio Franco Cassata, il cui quadro di connivenze mafiose dimostrato dalle stesse documentazioni che hanno portato alla rimozione del Canali è ben più pesante, sia stato nel frattempo scelto, da quello stesso CSM che ha trasferito Canali, come nuovo Procuratore Generale presso la Corte d’Appello del Tribunale di Messina........
Mistero.

Ma torniamo al processo, ed alla fine della nostra storia.
29 novembre 2009.
La Corte d’Assise d’Appello del Tribunale di Messina, presieduta per l’occasione dal giudice Antontio Brigandì, dopo 5 giorni di camera di consiglio emette la sentenza di secondo grado del mastodontico processo Mare Nostrum, probabilmente il procedimento giudiziario di mafia più importante mai celebratosi nella provincia peloritana, conclusosi in prima istanza il 26 luglio del 2006 con una sentenza che comminava 28 ergastoli e 1650 anni di carcere complessivi per i 133 imputati.
Le condanne confermate sono 41, 40 le riduzioni di pena, 13 le prescrizioni, ben 31 le assoluzioni complete.
Gran parte dell’impianto accusatorio che metteva sotto processo la mafia della provincia di Messina viene letteralmente smantellato.
Sarebbe a dire che nel capoluogo peloritano non vi è criminalità, che la mafia da noi non c’è, è un’invenzione di qualche poliziotto fantasioso, di alcuni magistrati in cerca di pubblicità.
Dei 28 ergastoli sentenziati in primo grado ne restano 14, il carcere a vita viene cancellato per Domenico Leone, Gaetano Fontanini, Francesco Franzese, Domenico Spica ed ovviamente per il boss Giuseppe Gullotti, accusato di essere il mandante del duplice omicido Iannello-Benvenga.
Grazie a questa sentenza Gullotti, uno dei capimafia più feroci nella storia della malavita messinese, potrebbe già pensare al momento del suo rilascio. In fondo adesso su di lui grava “soltanto” la condanna a 30 anni per l’omicidio Alfano.
Per Gaetano Fontanini e Francesco Franzese la Corte ha disposto la scarcerazione immediata.
Fontanini fu arrestato, latitante, in provincia di Catania, nel giugno del 2007, nel corso di un massiccio blitz antidroga. Al momento del fermo vennero rinvenute nella sua casa diverse pistole, 2 chili e mezzo di marijuana e quasi mezzo chilo di eroina.

Di Francesco Franzese, all’epoca latitante e braccio armato del sanguinario boss Lo Piccolo (successore di Bernardo Provenzano alla guida di Cosa Nostra), già inserito dal Ministero dell’Interno nell’elenco dei cento ricercati più pericolosi, arrestato nell’agosto del 2007 dopo un lunghissimo lavoro di intelligence svolto dal Nucleo Antimafia della Polizia, il questore di Palermo, Francesco Caruso, al tempo della cattura diceva: l'arresto di Franzese è un nuovo colpo alla mafia perchè da quanto emerge dal materiale sequestrato si scopre un ruolo molto importante che rivestiva nella dinamica interna a cosa nostra. Franzese è un personaggio che decide e allo stesso tempo esegue. Tutto ciò ci viene confermato anche dalla corrispondenza ritrovata nel covo, non solo con il latitante Salvatore Lo Piccolo ma anche con altri capimafia di Palermo.


Vengono i brividi, ma non ai giudici della Corte d’Appello di Messina, che evidentemente non la pensano allo stesso modo.
Fontanini e Franzese oggi sono liberi, destinatari di un provvedimento di scarcerazione immediata proveniente dal benemerito Tribunale di Messina, con buona pace del questore Caruso, di tutti i poliziotti che hanno rischiato la vita per catturarli, di tutti i sostituti procuratori che per loro avevano chiesto il carcere a vita e soprattutto con buona pace nostra: evidentemente dovremo rassegnarci a questo stato delle cose.
Anche perchè d’altronde, si sa, la mafia non esiste.